Dialogo di un uomo con la sua maggiore paura_ Platonypus
DIALOGO DI UN UOMO CON LA SUA MAGGIORE
PAURA_PLATONYPUS
Era una notte di gelido freddo
invernale, di quelle che non ispirano altra voglia che infilare il proprio
corpo al caldo delle coperte, per dare riposo alla mente e al fisico dopo una
lunga giornata di fatiche e agitazioni. Al mezzo di questa accadde che un uomo,
di quelli normali, che non presentano peculiari caratteristiche o specifici
caratteri, turbato da grandi preoccupazioni e da molti pensieri negativi,
chiuse gli occhi nel tepore del suo giaciglio, speranzoso di trovare conforto e
consolazione nella quiete del sonno.
Poco tempo occorse perché questo cadesse in un sonno profondo data la grande stanchezza fisica e spirituale che l’uomo portava con sé, ma tutt’altro che ristoratore si rivelò essere l’agognato riposo. Questo si permeò di incubi tremendi e di orribili immagini che più volte costrinsero l’uomo a destarsi per lo spavento. Quando ormai la notte s’accingeva a finire, giunse nei sogni dell’uomo una nebbia finissima, di quelle che si possono vedere nei tardi pomeriggi invernali sui fiumi e sui laghi, prodotta dal vapore emanato da questi. L’uomo si trovò così in una camera buia, rischiarata fievolissimamente da una sola piccola luce, forse di un cero o di una torcia molto lontana, davanti alla presenza di quella entità fumosa di cui non poteva definire i limiti con lo sguardo. Subito lo scosse la strana visione, tanto che immediatamente cercò di destarsi per sfuggire a quella. Non fece in tempo però a tentare la fuga che la nube lo chiamò dicendo: “Quale credi essere la tua più grande paura, umano?”. L’uomo, impietrito dalla voce dell’entità non poté far altro che riflettere su quale effettivamente fosse il suo più grande timore. Non impiegò gran tempo perché gli saltasse in mente la risposta. Preso coraggio allora disse: “Le scale mobili, questa è la mia maggiore paura”. La nube dunque s’avvolse su stessa e prese le sembianze d’una immensa scala mobile che immediatamente risvegliò nell’uomo il ricordo di quello spiacevole evento d’infanzia in cui ruppe rovinosamente giù da una scala mobile, riportando segni che ancora portava con lui dopo innumerevoli anni. Da questa uscì una voce che domandò all’uomo se fosse dunque quella la sua maggior paura, ma nonostante la risposta affermativa dell’uomo, non notando alcun segno di spavento in quello, gli pose nuovamente la domanda. Quello, stranito dal comportamento della scala, prese a pensare nuovamente a cosa realmente lo spaventasse, giungendo alla conclusione che la sua paura più grande fosse senza dubbio la solitudine. Ascoltata la risposta la nube mutò nuovamente, diventando questa volta una stanza, quella in cui l’uomo abitava da solo ormai da anni. Oltre a ciò l’entità, infilatasi di nascosto per le orecchie dell’uomo, gli mostrò quanto quei rapporti che quello riteneva essere amichevoli o dotati di una qualche qualità affettiva, fossero vacui e superficiali se guardati dall’esterno. Turbato fortemente da questo avvenimento l’uomo prese a correre più veloce che potesse, ma voltatosi dopo aver corso per diversi secondi, s’accorse d’esser rimasto fermo e di non aver mosso un passo dal luogo in cui si trovava in principio. La stanza prese allora a parlare e domandò una terza volta a quello, ormai stremato e quasi incosciente per lo spavento, quale fosse la sua più grande paura. Senza riflettere un attimo l’uomo gettandosi a terra gridò: ”La morte è la mia più grande paura!”. La stanza allora tornò ad essere una nube e guardando l’uomo accasciato a terra lo esortò a rialzarsi. Quando quello tornò in piedi, al contrario di quanto egli temeva sarebbe successo, non gli mostrò la morte né tantomeno la sua morte, ma una classica giornata qualsiasi della vita dell’uomo. Confuso quello non riuscì ad intendere cosa questo significasse e terminata la visione si scagliò piangendo contro la nube, chiedendo cosa stesse cercando di dirgli. La nube allora, dopo aver atteso che l’uomo cessasse di attaccarla poiché incapace di comprenderne l’incorporeità, prese a dire: “Vedi umano,ciò che ti mostrai in principio erano le cose che ritenevi essere le tue più grandi paure. Ciò che però non sai è che io ti conosco più di quanto tu stesso conosca l’indice della tua mano. Quando ti posi per la terza volta la medesima richiesta certamente non m’aspettavo che tu potessi comprendere, ridotto com’eri, quale fosse la verità in ciò che andavi dicendo, e decisi quindi di aiutarti nel compito che ti diedi, mostrandoti quale realmente è la tua maggiore paura.” L’uomo, ascoltate queste parole, prese ad inveire contro la nube chiedendo quale creatura demoniaca questa fosse e come aveva potuto impossessarsi del suo corpo. Riprese allora a parlare la fumosa entità che, mutata la voce, iniziò a parlare con la quella dell’uomo e disse: “Nessuna delle cose che nominasti mi rappresenta. Io sono la tua vita, ed è me che temi più di ogni altra cosa.”
Come fulminato da queste affermazioni, l’uomo si svegliò di soprassalto e in preda al terrore di quanto visto e sentito, non riuscendo a placare lo spavento, uscì di casa come indemoniato e, incurante della strada e delle macchine, non s’avvide della vettura che gli sfrecciava davanti e non poté evitarne lo schianto contro il suo corpo. Altro non ci è dato conoscere delle sorti dell’uomo, ma ciò che è certo è che, se quel giorno fosse sopravvissuto, la sua vita avrebbe cessato di essere quella che aveva fino ad allora conosciuto.
Poco tempo occorse perché questo cadesse in un sonno profondo data la grande stanchezza fisica e spirituale che l’uomo portava con sé, ma tutt’altro che ristoratore si rivelò essere l’agognato riposo. Questo si permeò di incubi tremendi e di orribili immagini che più volte costrinsero l’uomo a destarsi per lo spavento. Quando ormai la notte s’accingeva a finire, giunse nei sogni dell’uomo una nebbia finissima, di quelle che si possono vedere nei tardi pomeriggi invernali sui fiumi e sui laghi, prodotta dal vapore emanato da questi. L’uomo si trovò così in una camera buia, rischiarata fievolissimamente da una sola piccola luce, forse di un cero o di una torcia molto lontana, davanti alla presenza di quella entità fumosa di cui non poteva definire i limiti con lo sguardo. Subito lo scosse la strana visione, tanto che immediatamente cercò di destarsi per sfuggire a quella. Non fece in tempo però a tentare la fuga che la nube lo chiamò dicendo: “Quale credi essere la tua più grande paura, umano?”. L’uomo, impietrito dalla voce dell’entità non poté far altro che riflettere su quale effettivamente fosse il suo più grande timore. Non impiegò gran tempo perché gli saltasse in mente la risposta. Preso coraggio allora disse: “Le scale mobili, questa è la mia maggiore paura”. La nube dunque s’avvolse su stessa e prese le sembianze d’una immensa scala mobile che immediatamente risvegliò nell’uomo il ricordo di quello spiacevole evento d’infanzia in cui ruppe rovinosamente giù da una scala mobile, riportando segni che ancora portava con lui dopo innumerevoli anni. Da questa uscì una voce che domandò all’uomo se fosse dunque quella la sua maggior paura, ma nonostante la risposta affermativa dell’uomo, non notando alcun segno di spavento in quello, gli pose nuovamente la domanda. Quello, stranito dal comportamento della scala, prese a pensare nuovamente a cosa realmente lo spaventasse, giungendo alla conclusione che la sua paura più grande fosse senza dubbio la solitudine. Ascoltata la risposta la nube mutò nuovamente, diventando questa volta una stanza, quella in cui l’uomo abitava da solo ormai da anni. Oltre a ciò l’entità, infilatasi di nascosto per le orecchie dell’uomo, gli mostrò quanto quei rapporti che quello riteneva essere amichevoli o dotati di una qualche qualità affettiva, fossero vacui e superficiali se guardati dall’esterno. Turbato fortemente da questo avvenimento l’uomo prese a correre più veloce che potesse, ma voltatosi dopo aver corso per diversi secondi, s’accorse d’esser rimasto fermo e di non aver mosso un passo dal luogo in cui si trovava in principio. La stanza prese allora a parlare e domandò una terza volta a quello, ormai stremato e quasi incosciente per lo spavento, quale fosse la sua più grande paura. Senza riflettere un attimo l’uomo gettandosi a terra gridò: ”La morte è la mia più grande paura!”. La stanza allora tornò ad essere una nube e guardando l’uomo accasciato a terra lo esortò a rialzarsi. Quando quello tornò in piedi, al contrario di quanto egli temeva sarebbe successo, non gli mostrò la morte né tantomeno la sua morte, ma una classica giornata qualsiasi della vita dell’uomo. Confuso quello non riuscì ad intendere cosa questo significasse e terminata la visione si scagliò piangendo contro la nube, chiedendo cosa stesse cercando di dirgli. La nube allora, dopo aver atteso che l’uomo cessasse di attaccarla poiché incapace di comprenderne l’incorporeità, prese a dire: “Vedi umano,ciò che ti mostrai in principio erano le cose che ritenevi essere le tue più grandi paure. Ciò che però non sai è che io ti conosco più di quanto tu stesso conosca l’indice della tua mano. Quando ti posi per la terza volta la medesima richiesta certamente non m’aspettavo che tu potessi comprendere, ridotto com’eri, quale fosse la verità in ciò che andavi dicendo, e decisi quindi di aiutarti nel compito che ti diedi, mostrandoti quale realmente è la tua maggiore paura.” L’uomo, ascoltate queste parole, prese ad inveire contro la nube chiedendo quale creatura demoniaca questa fosse e come aveva potuto impossessarsi del suo corpo. Riprese allora a parlare la fumosa entità che, mutata la voce, iniziò a parlare con la quella dell’uomo e disse: “Nessuna delle cose che nominasti mi rappresenta. Io sono la tua vita, ed è me che temi più di ogni altra cosa.”
Come fulminato da queste affermazioni, l’uomo si svegliò di soprassalto e in preda al terrore di quanto visto e sentito, non riuscendo a placare lo spavento, uscì di casa come indemoniato e, incurante della strada e delle macchine, non s’avvide della vettura che gli sfrecciava davanti e non poté evitarne lo schianto contro il suo corpo. Altro non ci è dato conoscere delle sorti dell’uomo, ma ciò che è certo è che, se quel giorno fosse sopravvissuto, la sua vita avrebbe cessato di essere quella che aveva fino ad allora conosciuto.
Platonypus